Radici invadenti, distanze legali e decoro architettonico. Quando i rapporti di buon vicinato diventano una chimera.
DI Amministrazione

L’azione di riduzione in pristino è imprescrittibile in quanto manifestazione del diritto di proprietà, cioè del diritto reale per eccellenza e, comunque, al più, soggetta alla prescrizione ventennale, in analogia con quella prevista per i diritti reali su cosa altrui.

È questo il principio di diritto affermato nella sentenza del Tribunale di Lecce n. 2552 del 24 giugno 2014. La sentenza in commento,peraltro,affronta, tra gli altri, due argomenti particolarmente interessanti, che abbiamo già avuto modo di approfondire: la disciplina delle distanza legali in condominio e la tutela del decoro architettonico. (Il rispetto delle distanze degli alberi dal confine cambia in presenza di un muro divisorio dei fondi)

Il pronunciamento del tribunale salentino. Il proprietario di un immobile lamentava danni alla pavimentazione ed al muro di confine, riconducibili alle radici di alcuni oleandri piantati nel giardino del vicino a distanza non legale. Aggiungeva, inoltre, che il vicino aveva installato una doccia a ridosso del muro di confine, che cagionava infiltrazioni all’interno della propria abitazione. Citava dunque in giudizio il vicino, per la condanna all’eliminazione di detti inconvenienti ed al ripristino dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni. Il convenuto eccepiva, a sua volta, una serie d’irregolarità compiute dall’attore (tra cui la realizzazione di una doccia a distanza non consentita) a dispregio dell’aspetto architettonico e chiedeva, in via riconvenzionale, il ripristino dell’originario stato dei luoghi, con rimozione della doccia.

L’azione di ripristino non si prescrive. Il Giudice salentino ha ritenuto fondata la domanda di ripristino dei luoghi avanzata in via riconvenzionale, respingendo l’eccezione di avvenuta prescrizione. Nel caso di specie, infatti, l’azione di riduzione, in quanto connessa alla tutela del diritto di proprietà, è imprescrittibile, cioè chi ne ha diritto non può mai perdere la facoltà di esercitarla, salvi gli effetti dell’usucapione. Al più, la stessa è soggetta alla prescrizione ventennale prevista per i diritti reali minori su cosa altrui.

Distanze legali. Se incompatibili, prevalgono le regole del condominio. Ciò premesso, Il tribunale ha ritenuto legittime entrambe le docce installate dalle parti, anche se a distanza inferiore a quella legale. In linea con la tesi seguita dalla Cassazione, si afferma che le norme sulle distanze legali sono applicabili ai rapporti tra i condomini solo in quanto compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, atteso che, in considerazione del rapporto strumentale fra l’uso del bene comune e la proprietà esclusiva, non è ragionevole la loro rigorosa osservanza, “tanto più che l’esistenza di un condominio implica di per sé il contemperamento di vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che dovrebbe essere propria dei rapporti condominiali”. (Diritto all’estirpazione degli alberi del vicino solamente se le distanze sono misurate dalla base del tronco)

Nei casi – come quello di specie – di evidente contrasto tra norme sulle distanze e norme speciali relative alle cose comuni, prevalgono quest’ultime, che consentono la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso (Cass. n. 22092/2011).

La tutela del decoro architettonico. Si tratta di bene comune, identificato nella “estetica del fabbricato data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità” (Cass. n. 851/2007). Tale estetica non è propria dei soli edifici di particolare pregio storico-artistico, ma di ogni fabbricato nel quale possa individuarsi “una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia” (Cass. n. 8830/2008). Al pari degli altri beni comuni, il decoro architettonico non può essere sottratto alla propria destinazione ed al pari uso (art. 1102 c.c.). La sua alterazione, per essere contestata, deve essere apprezzabile, cioè tradursi “in un pregiudizio economico che comporti un deprezzamento sia dell’intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, per cui, sotto tale profilo, è necessario tener conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l’innovazione viene posta in essere” (Cass. n. 1286/2010). Tale valutazione non può che essere effettuata caso per caso.

Niente condanna al ripristino se inidonea, in concreto, a tutelare il decoro architettonico. Nella fattispecie in esame, tra gli elementi che hanno indotto al rigetto dell’azione di ripristino, il giudice ha puntualmente rilevato la “non utilità” della stessa ai fini della tutela del decoro architettonico, in una situazione in cui tutti i condomini, negli anni, hanno eseguito opere in contrasto con l’aspetto architettonico del complesso condominiale. “In un siffatto contesto” – osserva il Tribunale di Lecce – “nel quale tutti i condomini, in definitiva, hanno alterato, chi più chi meno, l’aspetto originario delle varie unità in proprietà esclusiva che compongono il complesso condominiale, resterebbe del tutto priva di utilità, rispetto al fine preposto, l’imposizione del ripristino nei confronti di uno solo dei condomini, atteso che l’intero prospetto architettonico del complesso rimarrebbe comunque alterato in forza delle svariate e numerose modifiche approntate dagli altri“.

di Avv. Giuseppe Donato Nuzzo