Esistono ancora persone che trattano gli animali come bestie, quelle stesse persone che alla ragione delle parole preferiscono quella dei fatti: esistono cioè ancora persone che ritengono preferibile, e forse anche doveroso, farsi giustizia da sé, usando la violenza all’occorrenza, senza porsi minimamente il problema della legittimità delle loro azioni né delle conseguenze.
E così capita che nel foggiano un anziano signore, sorprendendo il cane del vicino intento ad urinare nei pressi del proprio box, ritenga lecito bastonarlo di santa ragione anziché sgridarlo, magari scacciarlo e soprattutto redarguire il suo padrone, pur presente ai fatti.
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Alle necessarie cure segue l’altrettanto necessaria denuncia
Ma invece, come detto, il violento aggressore ha preferito ricorrere alla violenza ed analoga sorte sarebbe probabilmente toccata anche al proprietario della povera bestiola, allontanato anch’egli con fare minaccioso dal burbero vicino non contento e non sazio di averle date al malcapitato labrador, sottoposto immediatamente alle cure veterinarie resesi necessarie per via dei traumi riportati in seguito alle bastonate ricevute.
Inevitabile a questo punto la denuncia sporta per questa inqualificabile e vile aggressione: ai Carabinieri il compito di raccogliere le facili e numerose testimonianze delle persone che loro malgrado sono state spettatrici di questa scena, le quali non hanno potuto far altro che confermare l’accaduto, consentendo così il rinvio a giudizio del violento aggressore.
Il reato contestato
Per fortuna il nostro Legislatore è da qualche anno sempre più attento alla tutela degli animali e così stiamo assistendo all’introduzione di norme che puniscono, anche se in maniera forse non adeguata, condotte delittuose poste in essere nei confronti dei nostri amici a quattro zampe.
È il caso, ad esempio, della L. 20 luglio 2004 n. 189, con la quale sono state introdotte nel nostro codice penale una serie di reati che puniscono i “Delitti contro il sentimento per gli animali”. In particolare l’art. 544 ter sanziona con il carcere fino a un anno e mezzo “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”, prevedendo lo stesso articolo un aumento della pena ove dalle violenze derivi la morte dell’animale.
Inevitabile la condanna per il reato di maltrattamento di animali
E così il Tribunale di Foggia, con sentenza dello scorso 17/03/2014, esaminati gli atti di indagine ed applicando correttamente questa norma non ha potuto far altro che condannare (e ci mancherebbe altro…) il vile aggressore per i traumi inferti al povero cane, il quale nella circostanza aveva riportato “uno stato febbrile, una dolorabilità della zona lombare ed una zoppia alla gamba posteriore destra”.
Tali conseguenze integrano infatti appieno gli estremi del concetto di lesione previsto dall’art. 544 ter cod. pen.: il Tribunale ricorda infatti come “Nel reato di maltrattamento di animali, la nozione di lesione, sebbene non risulti perfettamente sovrapponibile a quella prevista dall’art. 582 cod. pen., implica comunque la sussistenza di un’apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell’animale”.
In sostanza, mentre la lesione punita dall’art. 582 cod. pen. (quella inferta ad un essere umano), perché possa essere penalmente derivante, deve comportare “una malattia nel corpo o nella mente”, quella inferta ad un animale è punibile anche in assenza delle suddette conseguenze purché, come detto, determini un’apprezzabile diminuzione (anche temporanea) della originaria integrità dell’animale, che sia naturalmente “diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva od omissiva” (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 32837 del 27/06/2013).
La sospensione della pena non significa innocenza né impunità
Nel caso di specie il Tribunale, tenuto conto dell’assenza di precedenti penali e ritenendo, forse frettolosamente, che “l’imputato si asterrà in futuro dalla commissione di ulteriori reati”, lo ha sì condannato ma concedendogli la sospensione condizionale della pena: tale beneficio, previsto dall’art. 163 cod. pen., consente per una sola volta a chi viene condannato di non espiare la propria pena, purché non commetta altri reati entro un determinato periodo di tempo. In sostanza niente carcere né pagamento di multe, a patto che ci si mantenga lontani dalle aule di tribunale per un bel po’.
Questo però non significa impunità né tantomeno innocenza: la condanna inflitta resta lì, pendente in una sorta di limbo e pronta ad essere espiata in aggiunta ad una eventuale ulteriore che dovesse essere comminata negli anni successivi. Inoltre, come accennato, questo beneficio è ottenibile una sola volta nella vita per cui il condannato non può certo pensare di continuare a delinquere ritenendo di farla ancora franca: la condanna impone quindi un cambio di rotta netto e la modifica di quei comportamenti (e prima ancora della mentalità) che, come nel caso di specie, hanno portato alla commissione del reato addebitato.