Strumenti musicali in condominio troppo rumorosi? Si al danno non patrimoniale
DI Amministrazione

E’ legittima la condanna di chi ha causato immissioni rumorose intollerabili al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di valori inerenti alla persona purché tale lesione non si sostanzi in un mero fastidio o disturbo.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9283, depositata in cancelleria il 24 aprile 2014, è tornata ad occuparti del danno non patrimoniale, dell’insussistenza di un’autonoma voce di danno chiamata “esistenziale” e della configurabilità del diritto al risarcimento nel caso di immissioni rumorose intollerabili.

Il tutto nel solco di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella famosa sentenza n. 26972 resa l’11 novembre 2008.

Immissioni rumorose intollerabili

Norma di riferimento per l’inibizione di rumori eccessivi è l’art. 844, primo comma, c.c. che recita:

“Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi”.

Era il 2011 quando la Cassazione, sulla scorta di propri precedenti dello stesso segno, specificò che in relazione alla norma appena citata non esiste un limite di tollerabilità assoluto; la rumorosità e di conseguenza la tollerabilità dell’immissione dev’essere valutata “secondo le caratteristiche della zona, per cui tale limite è più basso in zone destinate ad insediamenti abitativi, ma è anche vero che la normale tollerabilità non può essere intesa come assenza assoluta di rumore. In altri termini, il fatto che un rumore venga percepito non significa anche che sia intollerabile. La normale tollerabilità, poi, va riferita alla sensibilità dell’uomo medio. Non si può, infine, non tenere conto della durata continua o della occasionalità delle immissioni sonore” (Cass. 11 febbraio 2011 n. 3440).

Nel caso risolto dalla sentenza n. 9283 il Tribunale in sede di ricorso cautelare, il giudice di pace, in funzione di giudice di primo grado e di nuovo il Tribunale quale giudice d’appello avevano ritenuto intollerabili le immissioni rumorose provenienti da un appartamento e causate dall’utilizzo di strumenti musicali, condannando il convenuto ad insonorizzare i locali. Solamente nel giudizio di appello, però, il Tribunale riconosceva il risarcimento del danno non patrimoniale per il disagio subito a causa delle immissioni prodotte dal musicista.

In questo contesto gli eredi di quest’ultimo (non è raro in Italia, vista la durata delle cause, che le persone decedano durante il loro svolgimento) proponevano appello perché a loro dire l’attore non aveva diritto al risarcimento del danno esistenziale.

Il danno non esistenziale non esiste

La Corte di Cassazione, esaminando e rigettando il ricorso, ha specificato che l’attore erroneamente aveva asserito di avere subito un danno esistenziale. Il Tribunale, però, riconoscendo la fondatezza della domanda in relazione all’esistenza del pregiudizio sofferto aveva specificato che trattavasi di danno non patrimoniale e non di danno esistenziale. E’ il danno non patrimoniale, afferma la Corte, che si articola “in una serie di aspetti (o voci) con funzione meramente descrittiva (danno alla vita di relazione, danno esistenziale, danno biologico, ecc.)” (Cass. 24 aprile 2014 n. 9283). Che poi altro non è che un modo di dire: si scrive esistenziale ma si legge patrimoniale.

Il danno non patrimoniale, hanno ribadito gli ermellini, non deve consistere in meri disagi o fastidi.

Nel caso di specie, conclude la Corte, i giudici di appello hanno valutato correttamente i fatti facendone discendere un danno non patrimoniale. Per la cronaca il ricorso è stato respinto perché il quesito formulato nel ricorso esulava “dai principi esposti in quanto rapportato alla categoria astratta del “danno esistenziale” che, sulla base di una petizione di principio, non sarebbe derivato dalle immissioni intollerabili accertate”. In buona sostanza i ricorrenti avrebbero dovuto contestare l’esistenza del danno non patrimoniale e non di quello esistenziale.

Di Alessandro Gallucci