Affitti in nero. L’inquilino, con le sue dichiarazioni, può inchiodare il proprietario.
DI Amministrazione

Le dichiarazione rese degli inquilini alla Guardia di Finanza, durante le verifiche fiscali nella lotta agli affitti in nero, raccolte e trasfuse nel processo verbale di constatazione, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi

Il caso.

Una contribuente impugnava quattro avvisi di accertamento, emessi dall’Agenzia delle Entrate, per maggiore imposta IRPEF dovuta su redditi fondiari, a seguito di rettifica, ai sensi dell’art.32 d.P.R. n. 600/1973.

Secondo i verificatori, infatti, erano emersi redditi da locazione di immobili di proprietà della contribuente non dichiarati (superiori a quelli risultanti da diversi contratti di locazione).

L’Amministrazione, soccombente sia dinanzi la CTP di Ancona che la CTR delle Marche, ricorreva in Corte di Cassazione.

Le doglianze dell’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia ricorrente lamentava, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 1 e 3, nonché dell’art. 2697 c.c., avendo i giudici tributari attribuito alle dichiarazioni rese dai terzi, in sede di verifica fiscale, valenza meramente indiziaria, insufficiente a sorreggere l’accertamento in rettifica della dichiarazione, in assenza di ulteriori elementi, come i dati bancari o gli investimenti mobiliari, laddove l’Ufficio aveva preso in considerazione non solo dette dichiarazioni ma anche altri aspetti (quali “la palese irrisorietà e discrepanza dei canoni di locazione dichiarati, rispetto ai valori di mercato, l’esistenza di altri contratti stipulati dalla stessa contribuente per appartamenti siti nello stesso stabile e corrispondenti all’effettivo prezzo di mercato, etc…”).

Inoltre, l’Agenzia deduceva un vizio della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione sul motivo di appello con il quale si era censurata la sentenza della C.T.P. proprio perché essa aveva erroneamente ritenuto che l’avviso di accertamento fosse stato “basato unicamente sulle dichiarazioni dei terzi”.

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La Commissione Tributaria, invero, aveva sostenuto che dovendo i redditi fondiari relativi agli immobili locati “trovare puntuale riscontro nei canoni indicati nei relativi contratti di affitto” ed essendo le somme dichiarate dalla contribuente “conformi ai contratti di affitto prodotti”, l’accertamento doveva essere basato su “prove gravi, precise e concordanti, ex art. 2729 c.c.”, il che non risultava, nella specie, essendosi l’Ufficio avvalso esclusivamente “delle dichiarazioni rese dagli inquilini … non totalmente terzi, in quanto direttamente interessati”, dichiarazioni, raccolte in sede di processo verbale di constatazione ed utilizzabili nel processo tributario, ma “da sole” insufficienti.

Secondo l’Amministrazione, dunque, la sentenza di prime cure aveva erroneamente ritenuto che l’accertamento fosse stato basato unicamente sulle dichiarazioni di terzi, quando invece la pretesa impositiva si era fondata anche su altri aspetti , quali la palese irrisorietà e discrepanza, rispetto ai valori di mercato, dei canoni di locazione dichiarati e l’esistenza di altri contratti stipulati dalla stessa contribuente per appartamenti siti nello stesso stabile e corrispondenti all’effettivo prezzo di mercato.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 16223 del 16.07.2014, accoglieva il ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio, per nuovo esame ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche.

Il principio di diritto posto alla base della decisione.

Gli Ermellini hanno rilevato che: “[..] Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi (Cass. 20.4.2007 n. 9402, Cass. 15.1.2007 n. 703; Cass. 9876/2011; Cass. 8369/2013). Il tutto, se riveste i caratteri all’art. 2729 cod. civ., da luogo a presunzioni semplici (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (Cass. 9402/2007).

La disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, (“non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”) limita infatti i poteri del giudice tributario e non pure i poteri degli organi di verifica. Pertanto, la limitazione vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento (cfr. Cass. 20032/2011; Cass. 21812/2012).

Alla luce dei principi che precedono, il “giudice a quo” avrebbe dovuto procedere all’esame di tutti gli indizi disponibili (le risposte date, agli accertatori della G.d.F., dagli inquilini o parenti di inquilini nello stabile, [..] ed anche i riscontri dal valore di mercato dei canoni di locazione ovvero dai prezzi praticati dalla stessa contribuente per altri appartamenti similari ubicati nello stesso stabile), posti a fondamento e motivazione degli avvisi, al fine di stabilire, con giudizio di merito, logicamente e congruamente motivato, l’eventuale sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, in presenza dei quali la pretesa erariale sarebbe fondata (C. 9402/2007)”.

Orbene, le dichiarazioni degli inquilini (ma anche le dichiarazioni di terze persone) , acquisite dalla Guardia di Finanza, durante regolari controlli fiscali, rappresentano un indizio rilevante per la verifica del reddito del padrone di casa.

L’articolo 7 del D.Lgs. n. 546/1992 che dispone al IV comma: “ non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale“, limita i poteri del giudice tributario e non pure i poteri degli organi di verifica.

Così come il giudice tributario dovrà tenerne conto altresì anche di altri elementi quali le presunzioni, la documentazione acquisita e le eventuali movimentazioni finanziarie.

Il fine perseguito è ovviamente quello di contrastare il fenomeno degli affitti in nero, cercando di scovare il proprietario evasore che percepisce reddito da affitto senza dichiararlo.

Dott.ssa Maria Adele Venneri

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